Zio “Camola”

Torno spesso col pensiero ad un grande uomo, che ho conosciuto il giorno della mia nascita e mi ha accompagnata per un lungo tratto della mia vita. Un secondo padre, un amico premuroso e gentile, un sapiente medico, una persona colma di umanità, d’intelligenza, di saggezza,  di autentica generosità. Amava la natura in tutte le sue espressioni, conosceva e sapeva distinguere ogni filo d’erba che, nel suo giardino, lasciava crescere liberamente cosi come rispettava tutti gli esseri umani, ne accettava le opinioni, li confortava nel dolore, li sosteneva nella realizzazione dei loro progetti . Uomo libero che non ha mai voluto svolgere la professione in ospedale dal quale si era estraniato dopo avere fatto il dovuto tirocinio; la sua professione voleva svolgerla in totale libertà, consapevole della sua bravura, basata oltre che dalla sua abilità, dal buon senso, dalla valutazione consapevole dei rischi e dei benefici dei suoi atti.

Non avrebbe mai potuto accettare imposizioni dettate da convenienza o interesse di qualsiasi tipo. Proveniente da una nobile famiglia di Verzuolo, cittadina del cuneese,  favorito  da uno stato economico personale che glielo poteva permettere, svolgeva il suo lavoro solo privatamente, in tempi in cui manco esisteva la mutua e chi  aveva bisogno di cure doveva ricorrere agli ospedali. Con fatica si riusciva a ottenere da lui la richiesta di denaro dovuta ad una sua prestazione, ricordo ancora che alla domanda: cosa Le devo dottore? Immancabilmente rispondeva. “faccia Lei”, quasi si vergognasse a chiedere denaro in cambio di una visita medica. Era ostetrico e , nel suo ambiente, veniva definito il mago del forcipe, strumento che sapeva usare con grande maestria con il quale ha salvato tante partorienti e tanti nascituri, e che molti suoi colleghi  avevano abbandonato preferendo il più rassicurante taglio cesareo, che oltretutto era meno faticoso e più redditizio. Amava la vita, nutriva una vera passione per la cinematografia  e tra un parto ed una visita si infilava volentieri in una sala per godersi un bel film. Non faceva solo nascere i bambini Lui faceva il medico di famiglia, di tutta la famiglia, era pediatra e geriatra conosceva, dei suoi pazienti tutto ciò che gli permetteva di fare diagnosi, attraverso la visita ed i sintomi, molto più precise e dettagliate di ciò che si riesce a fare oggi con tanti esami spesso inutili e costosi. Controllava anche quelle che lui amava definire “ poure cite”(povere bambine) che prestavano i loro servizi nelle case di tolleranza  allora esistenti , e che con  rammarico vide sparpagliarsi, in seguito, sui marciapiedi della città. Diceva con ironia che amava talmente le donne da non volerne rendere infelice  una sposandola; era consapevole che il suo lavoro, svolto con quella passione e dedizione, sarebbe stato d’ostacolo alla buona riuscita di un matrimonio. Questo medico ha seguito mia madre durante le gravidanze dovute a me ed a mia sorella, ha fatto nascere i figli di entrambe e  fino alla fine dei suoi giorni è stato il nostro amatissimo dottore, che era atteso con gioia, col quale si gustava un buon caffè,  che mai rifiutava, si parlava di studio, di musica e ci raccontava l’ultimo film visto, andava a visitare mio padre ,che non poteva e non voleva  perdere nemmeno un’ora del suo lavoro per un controllo, direttamente in ditta con pazienza e comprensione, che ha  assistito mio figlio, in sala operatoria quando , piccolissimo,pareva  non riaversi più da una malattia che nessun luminare aveva saputo diagnosticare,  disapprovandone  l’intervento, ma impossibilitato ad opporsi all’autorità di un direttore d’ospedale che lo imponeva. Avrei voluto entrare io, in quella sala operatoria, dalla quale il mio bambino rischiava di non uscire vivo, ma le leggi ospedaliere sono ferree ed allora pregai il mio medico, secondo padre e amico di entrare per controllare , seguire e vigilare su quell’operazione, ma soprattutto, perché il mio bambino avesse accanto una persona che gli voleva veramente bene. Questo grande uomo si dichiarava ateo, ma sono sicura che nel giardino più bello del Paradiso, sotto lo sguardo benevolo di Dio, occupa un posto d’onore. Si chiamava Orazio Roggero, era di piacevole aspetto, ma talmente trascurato, con un gran cespuglio di capelli in testa che credo facesse tagliare si e no una volta all’anno, che bonariamente in famiglia lo chiamavamo zio Camola (tarma), Una notte si presentò per un parto in casa, chiamato da un giovane agitatissimo futuro padre, suonò alla porta ed attese che gli venisse aperto, Il giovane agitatissimo padre, vedendolo con un cappotto gettato frettolosamente sulle spalle, barba lunga, sguardo ancora assonnato, cespuglio incolto sulla testa, lo respinse con sgarbo scambiandolo per un barbone. Zio Camola risuonò il campanello e con estrema compostezza gli comunicò che era il medico che doveva assistere sua moglie per la nascita del bimbo. Il tutto ebbe un lietissimo fine tra scuse, abbracci ringraziamenti di ogni tipo. Il dottor Roggero amava raccontare questo episodio, perché possedeva un gran senso dell’umorismo, conosceva le sue debolezze e comprendeva quelle degli altri. Forse il suo unico rimpianto fu quello di non essere diventato padre nonostante abbia fatto nascere centinaia di bambini, è stato tuttavia molto amato e stimato da tutti i suoi pazienti che si sentono almeno in parte figli suoi.

 

annachiappero

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Un Maialino sotto i bombardamenti

Avventura tragi-comica avvenuta nel 1943.

Durante la guerra, sfollati a Reano, mio padre oltre a lavorare a Torino, sottoponendosi a enormi fatiche andando avanti e indietro sulla sua bicicletta, si preoccupava enormemente per la mancanza di cibo e quando si presentava una buona occasione per provvedere alle esigenze di noi tutti non si tirava certo indietro. Il suo laboratorio vetrario era in via S.Donato proprio vicino all’ospedale Maria Vittoria; papà conosceva un po’ tutti nella zona poiché, trattando vetri, veniva chiamato continuamente a sostituire o mettere delle pezze alle finestre che, a causa dei bombardamenti, si rompevano di continuo. Un giorno venne a sapere che un maialino stava per essere inserito, per la ricerca, proprio nel vicino ospedale. Approfittando delle sue preziose conoscenze riuscì a convincere un addetto a tale incarico a cederglielo in cambio, non so, di quale favore o compenso, pertanto tale maialino trovò una splendida collocazione a bordo di una Fiat 914 appartenente a mio nonno che giaceva inutilizzata in un garage di via S.Donato 65 poiché privata delle gomme requisite dal governo per le forze armate. Il maialino iniziò a crescere, felice e contento, nutrito dagli scarti domestici di tutto il caseggiato, dei contadini che allora avevano le cascine nei dintorni e che portavano a mio padre, in cambio di vetri, gli scarti degli scarti di ciò che consumavano i loro animali. Il maialino provvedeva anche da sé al proprio sostentamento divorando con gran gusto l’interno della gloriosa 914 del nonno, era diventato un maiale domestico, amato dal vicinato che sperava di vederlo prima o poi trasformato in qualche salamino, poiché, ovviamente il risultato finale sarebbe stato diviso da tutti i collaboratori intervenuti nella sua crescita. Gli veniva anche concesso l’uso del cortile condominiale, dove tranquillamente trascorreva le sue giornate, prima di venire riportato sull’auto alla sera, il cortile aveva due ingressi e due cancelli posti in modo diametralmente opposto per favorire l’uscita degli inquilini in caso di bombardamento. Passarono alcuni mesi bello , roseo e grasso, coccolato da tutti viveva felice, l’auto era ridotta alla sola scocca,ma non importava, perché era servita a una buona causa; quando nel 1944 iniziarono anche i bombardamenti diurni e con essi i mitragliamenti che mietevano vittime nei fuggi-fuggi generali, un brutto giorno dopo l’allarme qualcuno fuggendo lasciò il cancello sulla via S.Donato aperto e il povero maialino ormai adulto prese la rincorsa per la via in direzione di piazza Statuto, mio padre disperato, incurante del finimondo che c’era intorno a lui e con “sprezzo del pericolo” si mise affannosamente alla sua ricerca chiedendo a tutti quelli che incontrava e che correvano alla ricerca di un vicino rifugio, in perfetto dialetto piemontese:”A L’A’ PA’ VIST UN CRIN ?”  (ha per caso visto un maialino?) nessuno gli rispondeva e tutti lo prendevano per matto, pensando certamente che anche quel modo di comportarsi era frutto degli spaventi prodotti dai bombardamenti. Incurante di tutto, zigzagando per ripararsi alla meglio dal pericolo continuava a correre infilandosi nei portoni, cercando nei cortili, il suo prezioso tesoro. Papà era tenace, anche senza fiato e con tanta preoccupazione, per ciò che gli poteva accadere nel pieno di un bombardamento, continuava a cercare e finalmente la sua disperata fatica fu premiata, in fondo ad un cortile di una casa di ringhiera, accucciato in una latrina eccolo il suo amatissimo maiale!… Presumo lo abbia anche abbracciato e non ricordo in quale modo rocambolesco, cessato l’allarme, lo riportò felicemente nel garage accolto entusiasticamente da tutti i i presenti. Dopo qualche tempo giunse il momento di abbattere il maiale, una tragedia, ma la fame era tanta, si trovò un ragazzo di bottega di una macelleria che, in tutta clandestinità, una notte si fece carico dell’esecuzione; al termine dell’operazione il maiale venne appeso ad una attrezzatura del laboratorio vetrario, per la lavorazione della carne, ma il tutto era estremamente approssimativo e traballante, infatti il fratello di mio padre che si dava da fare portando il suo contributo nell’impresa,se lo fece cadere in testa nel passargli sotto. Ovviamente si ferì e di conseguenza si presentò un nuovo problema, con quale scusa ci si poteva presentare in ospedale per fare cucire le ferite? Qualcosa si sono inventati certamente ed il mio povero zio fu curato e fasciato portandosi poi in giro le ammaccature per diverso tempo.

Episodi simili ne sono avvenuti molti, in quei momenti difficili, pur di sopravvivere si barattava di tutto e papà con i suoi vetri riusciva sempre a trovare qualcosa di utile, come quella volta che fu bombardata la zona in cui sorgeva la fabbrica di cioccolato DAVIT, che aveva il permesso di produrre il cioccolato autarchico per l’esercito, e che per lo spostamento d’aria aveva subito il danneggiamento di tutti i vetri del suo capannone. Papà riuscì con tanti rappezzi ,a mettere in condizione il laboratorio di ricominciare in breve tempo la produzione, e in pagamento ebbe delle tavolette di cioccolato che riuscì a barattare con della farina, che portata al forno di Reano, diventò pane. Quel cioccolato noi lo abbiamo solo assaggiato e ricordo ancora il suo terribile gusto, tuttavia si può facilmente immaginare il fascino che quelle tavolette potevano esercitare su due bambine che si chiedevano perché si mangiassero solo patate ed il dolore che abbiamo provato nel vederle portare via per essere trasformate in farina!

Ora qualcuno si lamenta dei grossi sacrifici che ci attendono, affermano che la nostra generazione è stata molto fortunata, che per noi è stato tutto più facile… io voglio cercare di spiegarlo che non è stato così, ma capiranno? Soprattutto ci crederanno?

annachiappero

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Natale “in sordina”

Questi giorni che precedono la festa più bella ed attesa dell’anno, mi appaiono opachi, poche luci piuttosto modeste nelle vetrine, poca gente nei negozi ed è gente più attenta al cartellino del prezzo che all’oggetto che viene presentato; il desiderio di fare regali è immutato, ma le possibilità sono drasticamente cambiate. Si avverte fin troppo bene che la preoccupazione, la paura, le incertezze, i problemi di molte, troppe famiglie riescono a sopraffare l’entusiasmo e la gioia per questa bella festa. E’ una vigilia di Natale che si presenta in “sordina”, che vede la maggior parte delle persone pensierosa, preoccupata, talvolta infastidita dalle sollecitazioni pubblicitarie che imperterrite invadono le nostre case, palesemente e volutamente inconsapevoli del difficile presente che tutti viviamo. Penso tuttavia che questo clima possa ricondurci alla ricerca dei veri valori dell’esistenza, al piacere di un abbraccio sincero tra persone che si vogliono bene, al ritorno alla semplicità, accompagnata magari anche ad un po’ di umiltà, che non ha mai fatto male a nessuno. Questo Natale, già così sotto tono, è stato fragorosamente colpito da quegli spari che in una scuola, molto lontana da noi, hanno fatto strage di bambini, credo che sparirà anche la “sordina”… resterà in silenzio.

Anna Chiappero

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Un Paese-presepe

In occasione delle festività  natalizie, un paese della valle di Susa, si trasforma in un vero e proprio presepe. Venaus, circa mille abitanti, poco distante dalle alte vette, paradiso di sciatori che affollano  località turistiche meravigliose, si organizza, per mantenere un’antica tradizione, e allestisce  lungo un percorso di due chilometri, presepi di ogni dimensione e tipo adoperando tutto ciò che la montagna offre e in ogni strada,in una legnaia, in un  cortile, in un vano ricavato da  una vecchia finestra, in un fienile, lungo un pubblico lavatoio, su di un grande masso presso una cancellata, sotto un portico, in una grande gerla, dentro un cesto, all’interno di una damigiana, il visitatore può ammirare veri e propri capolavori. Presepi in miniatura, creati con sassi, tappi di bottiglia, noci , ghiande, funghi, castagne, pasta che sapientemente e pazientemente con abilità e fantasia illimitata, compongono lo scenario completo, curato nei minimi particolari, di quel miracoloso evento della nascita di Gesù. Nelle borgate che già si arrampicano sulla montagna, si incontrano poi tutti i personaggi, in formato reale, che animano il paese: due vecchiette lavorano a maglia sedute sullo scalino della porta di una casa, un padre con il bambino seduti  sul muretto che costeggia il torrente, pescano  di tutto, il bimbo tiene fra le mani un grosso pesce, il padre trova attaccata alla sua canna una vecchia scarpa…. Alzando lo sguardo, su un fienile una donna stende i panni ed un’altra trasporta un pesante cesto mentre ad un finestrella una bimba paffuta osserva il passaggio sulla strada. Attraverso il vetro di una finestra si scorge una signora che cuce, con una vecchia Singer,  un grembiulino, e appoggiati sul tavolo si trovano le scatole dei  fili, le forbici e quant’altro. Seduto su una vecchia scala a pioli, un contadino osserva le montagne tenendo fra le mani un fiasco di vino, più avanti bambini che giocano festosi, la scuola con la bidella sulla soglia della porta che li attende, una mamma che accompagna il suo bambino tenendolo per mano. Non manca poi il porcile con mamma maialina che allatta i suoi piccoli, le donne che lavano i panni presso un lavatoio accanto al quale una contadina accudisce in contemporanea  la sua bimba che gioca e la capra col caprettino che brucano l’erba, accanto a loro la cesta dei giochi con le trottole di legno della bambina, il secchio per il latte che presto  si colmerà, dopo la mungitura che si suppone prossima. Via,  via scene di vita quotidiana, descritte , direi dipinte con mezzi  semplici ma di grande effetto, tutto nasce dalla fantasia e dalla volontà di una popolazione unita che viene coinvolta nella preparazione di questo presepe-paese e che ogni anno rinnova con grande entusiasmo. Personalmente, pur non togliendo merito alla luci ed agli scintillii delle luminarie, preferisco la genuinità e la spontaneità di questo allestimento eseguito da persone che certamente SENTONO ancora lo spirito del Natale.

annachiappero

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Gli occhi di Red

Quando è entrato nella nostra vita era un grande ammasso di peli arruffati, la sua pelle piagata appariva a chiazze, il suo fisico scarno mostrava impietosamente la  colonna vertebrale , il suo splendido muso spiccava in un corpo devastato dalla sofferenza, dai patimenti, dalle percosse, i suoi occhi esprimevano una tristezza infinita mista a paura, non emetteva alcun suono, voleva vivere in disparte e mostrava timore quando qualcuno gli si avvicinava. Al rifugio dove viveva dopo un sequestro effettuato dalle forze dell’ordine, nessuno pensava di adottarlo, con tutti i guai che aveva sarebbe stato difficile inserirlo in una famiglia. Appena entrati nel suo recinto  mio figlio ed io, nonostante la sua giustificata diffidenza, capimmo subito che quegli occhi colmi di dolore, avrebbero potuto cambiare espressione solo con tutto il nostro amore, ed altrettanto il suo fisico. La sua dignità di cane era stata crudelmente offesa e calpestata da ignobili esseri che si definiscono umani. Entrò timoroso nel nostro giardino e nei nostri cuori, occorsero sei mesi perché fosse confermata l’adozione in quanto il rifugio doveva accertare periodicamente il suo stato nella nuova collocazione. Iniziai subito le cure, quelle inerenti l’alimentazione continuano tutt’ora a distanza di oltre due anni,  ma Red molto lentamente ha ritrovato fiducia in se stesso e nel genere umano, ha ricominciato ad abbaiare, però solo se si avvicina uno sconosciuto alla casa, è discreto, educato e  affettuosissimo, adora farsi accarezzare quel  lungo e morbido pelo caratteristico della sua razza( è un pastore tedesco). Prima di ogni pasto si sdraia, volge la pancia in su e aspetta le coccole, se le assapora tutte ad occhi chiusi, vorrebbe non finissero mai, poi si avvicina alla ciotola felice, capisco che per lui è più importante essere amato e che il pasto è una parentesi piacevole, necessaria, ma non prioritaria, non é la sua prima esigenza. I suoi bellissimi occhi ora sono sereni, il suo sguardo non ha più quella tristezza che mi sconvolgeva, ha finalmente realizzato che con noi è al sicuro e ci ricompensa con l’amore che solo gli animali sanno dare. Red ha anche un magnifico rapporto con gli altri due miei figli pelosi, Lola e Gulliver, quasi quindicenne, pieno di acciacchi che necessita della mia continua assistenza e della protezione di tutti ( Lola in particolare gli fa da badante, quando perde il senso dell’orientamento in giardino lo riporta in casa facendosi pazientemente seguire).

Non credo che Red possa dimenticare il lungo periodo infame che ha trascorso, ma sono certa che adesso è un essere felice, spero che nei suoi sogni  non ritorni mai il passato, spero che anche nel suo cuore si siano sanate le piaghe come sul suo corpo che ora agile e splendente, di una rara bellezza, gode di una sana libertà. Corre e gioca con Lola su un prato verde e mi dona tanta gioia, mi auguro che la sua vita sia lunga e che,  possa essere ripagato per tutta la crudeltà subita. I suoi occhi adesso esprimono tanta dolcezza, brillano di gioia appena qualcuno della famiglia  gli si avvicina e con tanta delicatezza cerca subito una carezza, ascolta le nostre parole e,  a modo suo, ci esprime tutto il suo amore, un amore infinito, disinteressato, totale.

Anna Chiappero

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Rospino

Ogni anno, verso la fine del mese di giugno, riappare improvvisamente nel giardino di casa mia, ben pasciuto, di un colore sfumato tra il verde, il marrone ed il nero, di sera passeggia tra le mie rose, in cerca di un umido refrigerio. Saltella con grazia e le lucciole che volteggiano donano alla sua ruvida pelle dei riflessi dorati. Quasi sempre mi si avvicina, ci guardiamo negli occhi, gli parlo, gli confido le vicende della mia giornata, lui ascolta, a volte lo adagio sulla mia mano e lievemente lo accarezzo, sembra gradire molto le mie coccole e nel suo sguardo, in quegli occhi, esageratamente spalancati, pare ci sia una risposta ai miei tanti interrogativi… Prima di posarlo a terra, accanto all’enorme vaso dei fichi d’india, sua dimora preferita, mi domando: “E se fosse come il rospo della favola che si trasforma in principe con un bacio?”. Poi riflettendoci bene preferisco non provarci, molto meglio che si mantenga ROSPO!
Anna Chiappero

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